PIERO D'ANCONA Cosa sono la Matematica e l'Analisi? Noi matematici abbiamo il vizio di iniziare ogni discorso con una serie di definizioni. Purtroppo, in questo caso devo ammettere di non conoscere la risposta alla prima domanda (qualche filosofo della scienza dà una versione leggermente diversa della stessa risposta: "La Matematica è ciò che fanno i Matematici"). Anche per quanto riguarda l'Analisi, negli ultimi anni il rimescolamento tra i diversi settori è stato così profondo che è difficile davanti a certi risultati dire se appartengano alla Geometria, o all'Algebra, o all'Analisi.
Concetti fondamentali. Resi cauti da vari fallimenti, i matematici hanno elaborato un linguaggio un po' pesante ma molto solido per trascrivere e comunicare le loro deduzioni. Questo mette al riparo dagli errori e consente grande precisione e flessibilità, ma è anche il principale ostacolo alla comprensione da parte dei non addetti ai lavori. Al contrario, le idee che stanno dietro le dimostrazioni sono quasi sempre semplici e molto naturali (anzi, di solito un'idea è tanto più efficace quanto più è semplice e naturale). Qui cercherò di limitarmi alle idee, rinviando per esposizioni più rigorose ai numerosi testi disponibili.
detto rapporto incrementale. Esso ha un senso geometrico preciso: esprime l'inclinazione della retta passante per i punti del grafico corrispondenti a x e x + h (l'inclinazione è 0 per una retta orizzontale, 1 per una retta a 45°, eccetera). Se prendiamo valori di hsempre più piccoli, ossia in termini matematici facciamo il limite del rapporto per hche tende a zero, la pendenza si avvicinerà a quella della retta tangente al grafico in x. Il valore ottenuto si indica con f'(x), e si chiama la derivata di f nel punto x; abbiamo così ottenuto una nuova funzione a partire dalla prima. Se f(t) esprime la posizione di un oggetto in funzione del tempo, il rapporto incrementale esprime chiaramente la velocità media tra gli istanti t e t + h; mandando ha zero vediamo che è ragionevole interpretare f'(t) come la velocità "istantanea" dell'oggetto all'istante t (Newton). Nulla ci impedisce di continuare, e da f'(x)ottenere una nuova funzione derivata f"(x), detta derivata seconda. Un po' di riflessione mostra che f"(t) rappresenta l'accelerazione dell'oggetto all'istante t, ossia la rapidità con cui sta cambiando la sua velocità. INTEGRALE: data una funzione f(x), ad esempio che assume solo valori positivi, possiamo definire il suo integraletra a e bcome l'area sotto il tratto di grafico tra x = a e x = b; esso si indica con il simbolo
(questo simbolo compare per la prima volta in una lettera di Leibniz). Calcolare questo tipo di aree per le funzioni più importanti era uno dei problemi più in voga tra i matematici del '600, spesso risolto con complicate considerazioni geometriche; ma il problema divenne elementare con l'avvento dell'Analisi, e infatti Newton, prima di impegnarsi nei Principia, aveva progettato di scrivere un trattato su quest'argomento. Anche l'integrale permette di ottenere dalla funzione f(x) una nuova funzione, tenendo fisso il primo estremo a e facendo variare il secondo: TEOREMA FONDAMENTALE DEL CALCOLO: F'(x) = f(x), ossia integrazione e derivazione sono operazioni l'una inversa dell'altra (Newton). CALCOLO. Vediamo questi concetti al lavoro. Anzitutto, è facile calcolare le derivate delle funzioni elementari; per esempio e quindi mandando ha zero si ottiene analogamente Con qualche conticino si ottiene e con un po' di trigonometria È facile vedere che, date due funzioni f, g e una costante c,
mentre per le funzioni composte si ha
(Leibniz). Altri risultati elementari:
Il moto dei pianeti. Il modello proposto da Newton per il movimento dei corpi si riassume nella nota formula F = ma,dove a è l'accelerazione, cioè come abbiamo visto la derivata seconda della posizione, mil peso del corpo, e Fla "forza" che agisce sul corpo. Naturalmente, finché non diamo un senso preciso alla forza non possiamo usare il modello. Useremo la seguente ipotesi: se due corpi hanno dimensioni molto più piccole della loro distanza, esercitano l'uno sull'altro una forza proporzionale al prodotto delle masse, e inversamente proporzionale al quadrato della distanza.
(anche la forza Fha tre componenti; qui gè una costante di proporzionalità detta costante di gravitazione universale) e quindi, se scriviamo per brevità a = gmMla legge del moto F = madiventa
Vogliamo risolvere queste equazioni. Dobbiamo fare una prima riduzione importante: l'orbita del pianeta si svolge su un piano. Dimostrarlo è facile, ma purtroppo serve un risultato sulle equazioni differenziali lineari e abbiamo strumenti insufficienti per introdurlo; daremo per scontato questo primo fatto. Allora si può supporre, cambiando sistema di riferimento, che z(t) = 0, cioè che l'orbita si svolga nel piano x, y. Ora le equazioni sono
dove . Per semplicità supporrò che a = 1 (ci si può sempre ricondurre a questo caso moltiplicando x, y per una stessa costante). Moltiplichiamo la prima equazione per x', la seconda per y' e sommiamo: dato che x"y'+y"y'=(x ' 2+y ' 2)' /2, mentre la (1) diventa e quindi per una opportuna costante E(detta energia). Se invece moltiplichiamo la prima equazione per y, la seconda per xe sottraiamo, otteniamo
e dato che y"x - x"y = [y'x - x'y]' questo implica
dove c è un'altra costante. Per scrivere le equazioni (2),(3) in forma più semplice poniamo adesso x = rcosq, y = rsin q, ossia scriviamo la posizione del pianeta usando la sua distanza dal sole e l'angolo di rotazione (r, q si chiamano le coordinate polari del pianeta). Otteniamo subito
Notiamo che la quantità ½r2q ' si può interpretare come la velocità alla quale varia l'area spazzata dal raggio vettore che unisce il sole al pianeta, detta velocità areale. Infatti in due istanti molto vicini t e t + h il raggio spazza un triangolo di altezza r(t) e base r(t)·(q(t + h) - q(t)), quindi un'area ½r2(q(t + h) - q(t)), e dividendo per il tempo impiegato he mandando ha zero otteniamo proprio ½r2q'. Dunque la seconda equazione dà subito una delle leggi di Keplero: la velocità areale è costante (e vale c/2). Sostituendo q' dalla seconda nella prima Poniamo adesso u = 1/r, da cui u' = -r'/r2, e la prima equazione diventa
che divisa per il quadrato della seconda dà In questa equazione u(t), q(t) sono funzioni del tempo. Tuttavia è molto più facile determinare la traiettoria del pianeta, cioè u in funzione di q. Vogliamo quindi trovare f tale che u = f(q); in particolare sarà u(t) = f(q(t)) e derivando u' = f'(q)q' da cui u'/q'= f'. Sostituendo, l'equazione diventa Semplifichiamo ponendo f = g + 1/c2: da cui Questa equazione differenziale molto semplice si può risolvere esplicitamente; per insufficienza di mezzi non mostro come si arriva alla soluzione, tuttavia è elementare verificare che la funzione seguente è effettivamente una soluzione (e in realtà le esprime tutte): dove q0 è una costante arbitraria (l'angolo iniziale). Adesso, ricordando che u(q) = 1/r(q) = g + 1/c2, concludiamo che Questa formula è la soluzione cercata: esprime la traiettoria del pianeta in coordinate polari. Si tratta di una conica (ellisse, parabola o iperbole, a seconda dei valori delle costanti). Con poche righe di calcoli elementari abbiamo ottenuto un risultato molto più preciso di tutte le varie leggi di Galileo, Keplero, Tycho Brahe, etc., sul moto dei pianeti; inoltre possiamo da alcune osservazioni di un corpo celeste (ad esempio una cometa) calcolare i parametri dell'orbita e predirne il moto futuro. Con calcoli più complicati, ma simili nello spirito, si possono studiare sistemi composti di vari pianeti che si attraggono a vicenda. In tutto il '700 e nell'800 si perfezionarono molto tali tecniche; si arrivò a predire l'esistenza di un pianeta sconosciuto (Urano), e addirittura a calcolarne la posizione con notevole precisione, dalle perturbazioni nelle orbite dei pianeti più vicini che differivano leggermente dalle orbite calcolate. Per osservare il pianeta non restò altro da fare che puntare il telescopio nella direzione indicata dai calcoli. Di nuovo sorge la domanda: come è possibile che il modello sia così efficace? che con alcuni segni tracciati su un foglio si riesca a predire quello che avviene ad alcuni miliardi di chilometri di distanza? Le equazioni alle derivate parziali. Quello che abbiamo visto è solo un primo esempio elementare, benché molto significativo. Il vero salto di qualità nell'interpretazione della natura fu, a metà '700, l'introduzione delle equazioni alle derivate parziali.
vxx + vyy = 0 (equazione di Laplace) ut - uxx = 0 (equazione del calore). Ovviamente risolvere l'equazione vuol dire trovare una funzione le cui derivate verifichino la relazione richiesta. A metà '700 fu scoperto un fatto sorprendente: le equazioni alle derivate parziali consentono di descrivere con notevole precisione molti fenomeni estremamente complessi, e anzi permettono di predirli e spesso di "interpretarli" in modo nuovo; talvolta permettono di scoprire fenomeni sconosciuti. Vediamo gli esempi più importanti, corrispondenti alle tre equazioni elencate sopra. A) OSCILLAZIONI E PROCESSI DI EVOLUZIONE. Il caso più semplice di moto oscillatorio è quello di una corda che vibra, muovendosi in un piano. Per descriverne il movimento si può usare una funzione di due variabili u(t,x), che esprime lo spostamento del punto x all'istante t rispetto alla sua posizione di equilibrio. Se si considera un tratto molto piccolo della corda, la sua accelerazione sarà data da utt; non è difficile vedere che la tensione della corda è invece proporzionale a uxx (con qualche ragionamento di carattere fisico), quindi applicando la legge di Newton F = ma si vede che la funzione u deve risolvere l'equazione seguente, detta delle onde: Questo è il modello. Non è difficile dimostrare che tutte le soluzioni si scrivono nella forma
dove f, g sono due funzioni di una sola variabile che possiamo scegliere in modo arbitrario. Ad esempio prendiamo f = 0, quindi u(t, x) = g(x - ct), e proviamo ad interpretare questa soluzione. Il nostro modello ci dice che il moto della corda è il seguente: la "forma" della corda è sempre la stessa, data dal grafico della funzione g, e questa forma si sposta al crescere di t con velocità c. Ossia c'è un'onda che si sposta lungo la corda senza cambiare forma. Questo risultato è in ottimo accordo con i dati sperimentali, almeno per piccole oscillazioni. Se poi consideriamo la soluzione generale, vediamo che si possono avere due onde che si muovono in direzione opposta con la stessa velocità, si attraversano e si oltrepassano, senza mai cambiare forma; anche questa predizione è confermata dagli esperimenti. Studiamo ora il moto di una corda con estremi fissati, ad esempio x = 0 e x = pT. Quindi dobbiamo trovare le soluzioni tali che u(t, 0) = u(t, pT) = 0. Ad esempio sono soluzioni
e più in generale, per ogni intero n,
Ora osserviamo che l'equazione delle onde è lineare, ossia ha la seguente proprietà: la somma di due soluzioni e il prodotto di una soluzione per una costante sono ancora soluzioni. Pertanto sono soluzioni anche tutte le somme del tipo (il sigma maiuscolo all'inizio significa: sommare su tutti t valori di n).Abbiamo ottenuto una soluzione molto generale del problema, e in effetti con qualche strumento in più sarebbe possibile vedere che la formula precedente rappresenta tutte le soluzioni. Questo metodo di risoluzione fu scoperto da Fourier agli inizi dell'800. Proviamo ora ad interpretare la nostra formula. La funzione u(t, x) descrive il moto della corda, che si trasmette all'aria comprimendola e decomprimendola, e infine si comunica ai nostri timpani: essa quindi descrive il suono emesso dalla corda. Dall'espressione ottenuta sembrerebbe che il suono si decomponga in una combinazione di suoni "elementari" cioè di sinusoidi di frequenza crescente n/T;esse sono dette prima armonica, seconda armonica,eccetera. Per quanto questo risultato sia strano, esso è in accordo con gli esperimenti. Verifica: se si preme un tasto del pianoforte senza far suonare la corda, poi si suona con forza una nota ad un'ottava sopra (lunga la metà) e si lascia andare, si può sentire che la prima corda si è messa in vibrazione. Interpretazione: la prima corda può emettere suoni che sono somma di sinusoidi di frequenza n/T,la seconda emette un suono composto da sinusoidi di frequenza n/(T/2) = 2× n/T cioè doppia, quindi può mettere in vibrazione le frequenze corrispondenti nella prima. Notare che se si scelgono due tasti non distanti un'ottava il fenomeno non si verifica (o ha un'intensità trascurabile). In altri termini, scopriamo che sorprendentemente i suoni si comportano davvero come se fossero somma di armoniche. Questa decomposizione dei suoni in armoniche è familiare a chi si interessa di musica o di alta fedeltà. Per esempio, per misurare la qualità della riproduzione di un amplificatore, si confronta la terza armonica del suono in entrata con quella del suono in uscita (distorsione della terza armonica: la prima e la seconda ormai sono riprodotte perfettamente da qualunque impianto). Altro esempio interessante: il suono digitale. Un modo efficace di conservare e riprodurre il suono è misurare (campionare) valori della funzione u(t, x) ad istanti successivi molto vicini tra loro; il suono ottenuto è crepitante con 20.000 dati al secondo, per avere un suono perfetto ne sono necessari almeno 40.000. Si tratta però di una massa di dati eccessiva, sia per l'insufficienza dei supporti di memoria (CD o cassetta digitale), sia per l'impossibilità di processare questo fiume di numeri ad una velocità adeguata per la riproduzione in tempo reale. Come tagliare i dati facendo il minor danno possibile al suono? Dalla decomposizione precedente la risposta è immediata: le armoniche successive sono sempre più deboli, quindi sempre meno importanti per la corretta riproduzione del suono. Il modo più efficiente per immagazzinare la massima informazione nei limiti richiesti è quindi decomporre il suono in armoniche, conservarne il massimo numero possibile, e tagliare tutte le rimanenti. Un ultimo esempio, affascinante anche se non molto facile da capire: l'orecchio. La trasformazione del suono in impulsi elettrici da inviare al cervello avviene nella coclea, che si può schematizzare come un tubicino osseo pieno di liquido e dalle pareti sensibili alla vibrazione. Il suono entra da un lato del tubo, e si propaga sia attraverso il liquido sia attraverso l'osso. Le due onde corrono parallele, ma a velocità diverse; quindi lungo la parete del tubo si creano zone dove le due onde si sommano e zone dove si sottraggono. Se il suono è un'armonica pura, il punto dove le onde si sommano, qundi la parete è eccitata di più, dipende dalla frequenza dell'armonica. Quando il suono è complesso, le diverse armoniche eccitano ognuna una zona diversa del tubo: l'orecchio fa l'analisi armonica del suono, e invia i dati al cervello. Analogamente alla corda vibrante si può studiare il moto di una membranavibrante; per descrivere la posizione della membrana avremo bisogno di una funzione di tre variabili u(t, x, y), e l'equazione è Anche in questo caso c'è un ottimo accordo con gli esperimenti. Se avete mai provato a mettere della sabbia fine su un altoparlante, avrete visto disegnate dalla polvere la forma delle prime armoniche, soluzioni elementari dell'equazione precedente. A questo punto dovreste essere in grado di scrivere da soli l'equazione che descrive le vibrazioni di un corpo tridimensionale. Ma i fenomeni oscillatori non sono limitati al campo delle vibrazioni meccaniche. Anche i campi elettrici e magnetici sono oscillazioni, e sono descritti da soluzioni dell'equazione delle onde. Equazioni ancora più generali dette iperbolicheconsentono di descrivere e predire sistemi ancora più complessi, come il movimento dei fluidi e del plasma, e in genere si può dire che la maggior parte dei sistemi fisici che si evolvono nel tempo sono governati da equazioni iperboliche. Ad esempio sono iperboliche (e in parte ellittiche) le equazioni della relatività generale, che descrivono la forma dell'universo soggetto a forze gravitazionali ed elettromagnetiche. Altri esempi di applicazione delle equazioni iperboliche: previsione del tempo, aerodinamica, onde d'urto, propulsione di aerei e razzi, trasmissioni radio, circuiti elettronici, viaggi nel tempo... B) ELASTICITÀ ED EQUILIBRIO. Formiamo un cappio con un filo di ferro, immergiamolo nell'acqua saponata e tiriamolo fuori. Come si fa a predire la forma della membrana saponata? Avremo bisogno di una funzione di due variabili, v(x,y), che esprime l'altezza della membrana sopra il punto (x, y). Con considerazioni fisiche elementari si arriva all'equazione (equazione di Laplace). In questo caso l'equazione esprime in modo preciso il fatto che ogni pezzetto della membrana è tirato dai circostanti con la stessa forza in tutte le direzioni. Infine, dato che vogliamo che la membrana si appoggi al filo di ferro, dobbiamo assegnare il valore di v(x,y) per t punti del bordo; questo dato si chiama con scarsa fantasia condizione al bordo. Anche in questo caso l'accordo con gli esperimenti è notevole; per esempio, dallo studio dell'equazione è facile dimostrare che la soluzione non può avere un massimo interno,cioè la membrana non presenta "gobbe"; che la soluzione è molto regolare anche se la condizione al bordo non lo è, cioè la membrana è liscia anche se il filo di ferro ha degli spigoli; eccetera. L'equazione di Laplace, e il relativo problema al bordo, sono il prototipo di una classe vastissima di equazioni differenziali dette ellittiche.Esse permettono di descrivere accuratamente fenomeni di equilibrio, in particolare in teoria dell'elasticità. Che forma assume una palla di gomma schiacciata alle estremità con due dita? Che forma assume una galassia che ruota (forze in gioco: attrazione gravitazionale ed elettrostatica, campi magnetici, forza centrifuga, pressione della luce...)? Qual è la forma di un filo d'acqua che scende da un rubinetto? C) CALORE E PROCESSI DIFFUSIVI. Prendiamo un filo metallico e riscaldiamolo in modo disuguale nei vari punti. Il calore si distribuirà lungo tutto il filo. Come si evolve nel tempo la temperatura del filo? Anche qui serve una funzione u(t, x) di due variabili, che esprime la temperatura del punto x all'istante t. L'equazione che si ottiene è detta equazione del calore; l'accordo con i dati sperimentali è buono. Un aspetto interessante di questa equazione è la proprietà detta irreversibilità temporale.Se si assegna il valore di u(0, x) cioè la distribuzione del calore all'istante 0, è sempre possibile risolverla per t > 0, e la soluzione è sempre più regolare (il calore si distribuisce in modo sempre più diffuso); ma non è possibile in genere risolverla per t < 0. In altri termini, se scegliamo una qualunque distribuzione di calore lungo il filo u(0, x), non è detto che esista una soluzione la quale, col passare del tempo, riproduca la distribuzione che abbiamo scelto. Si tratta di un fenomeno completamente diverso da quelli visti in meccanica ad esempio, dove se è possibile un certo movimento allora è possibile anche il movimento esattamente inverso (le equazioni della meccanica sono reversibilirispetto al tempo). In altri termini, la propagazione del calore è un fenomeno di tipo diverso da quelli meccanici, nel quale il tempo ha una direzione privilegiata: quella in cui aumenta l'entropia (il "caos"). L'equazione del calore è il prototipo delle equazioni paraboliche,utilizzate per descrivere vari processi diffusivi: diffusione di un mezzo in un altro, moto browniano, eccetera. Meccanica quantistica. In questo settore il ruolo giocato dalla matematica, e soprattutto dall'analisi, raggiunge dei livelli sconcertanti. Vi sono alcune particelle elementari che nessuno ha mai "visto", qualunque significato si voglia dare all'espressione, e la teoria stessa predice che è pressoché impossibile vederle. Allora cosa sono? Sono soluzioni di certe equazioni differenziali, la cui esistenza è resa necessaria dalla coerenza della teoria: se esse non esistessero, la teoria crollerebbe. D'altra parte, la teoria spiega con precisione e completezza assoluta moltissimi fenomeni atomici e subatomici, quindi deve essere vera
In seguito Dirac costruì un modello più preciso, basato sull'equazione di Klein-Gordon (è curioso come anche le particelle elementari siano governate dall'equazione delle onde). Dirac sosteneva di essere arrivato al suo modello seguendo principalmente delle considerazioni estetiche. In questo settore lo scambio fra modello e interpretazione della natura è particolarmente vivace. Negli ultimi decenni, tra teoria ed esperimenti si è svolta una partita di tennis che sembra destinata a durare ancora: le nuove particelle previste dalla teoria vengono osservate sperimentalmente, la loro osservazione porta a scoprire fenomeni nuovi, questo rende necessario modificare la teoria, eccetera. Va anche detto che i fisici teorici contemporanei non si accontentano più dell'Analisi, ma tentano di utilizzare in modelli sempre più complessi altri settori della Matematica. (In una delle teorie recenti le particelle sono descritte da microscopiche "stringhe", delle piccole curve chiuse in uno spazio a 26 dimensioni; fortunatamente 16 di queste dimensioni sono troppo piccole per essere osservate, e solo le restanti 10 sono veramente "fisiche"...) Massimi e minimi: il calcolo delle variazioni. Ritorniamo alla semplice idea: se la funzione f(x)ha un massimo o un minimo nel punto x, allora f' (x) = 0, e vediamone qualche sviluppo. Si tratta di un'idea molto potente, che ci consente di risolvere in poche righe problemi altrimenti abbastanza complessi. Per esempio, se vogliamo recintare un pezzo di terreno rettangolare sulla riva di un fiume, con un recinto di 100 metri, qual è la massima area che posso racchiudere? Se si affronta il problema per via geometrica, la soluzione non è molto semplice. Usando l'analisi invece il conto è banale: detto x il lato perpendicolare al fiume, gli altri due lati sono lunghi x e 100- 2x; l'area è f(x) = x(100 - 2x) = l00x - 2x2; pertanto f'(x)= 100 - 4x, e chiaramente f' si annulla soltanto nel punto x = 25, quindi l'area massima è f(25) = 1250. Problemi di massimo e minimo si incontrano in moltissimi settori pratici, ad esempio sono di vitale importanza in vari processi industriali; e, molto frequentemente, come sottoproblemi di problemi più complessi.
che si può anche scrivere Approssimando una qualunque curva con spezzate sempre più fitte, non è difficile vedere che la formula precedente fornisce in generale la lunghezza del grafico di f. Abbiamo ora il nostro funzionale L(f), che chiaramente non ha massimo ma ha minimo. Come facciamo a calcolare il minimo? Ricorriamo ad un piccolo trucco. Consideriamo una funzione h(x) tale che h(0) = h(1) = 0, in modo che il grafico di f + hsia ancora una curva da Pa Q. Definiamo ora una funzione f(a) nel modo seguente: f(a) = L(f + ah). Se f è la soluzione del nostro problema, cioè la curva più corta da Pa Q, sicuramente f(a) deve avere un minimo per a = 0, e quindi f'(0) = 0. Proviamo a scrivere questa condizione: si ha
da qui con semplici calcoli e quindi la nostra condizione si scrive Ora devo usare una semplice proprietà degli integrali, l'integrazione per parti, secondo la quale se il prodotto gh si annulla sia in 0 che in 1 (dimostrazione: (gh)' = g'h + gh'; integrando tra 0 e 1, g(1)h(1) - g(0)h(0) = da cui la tesi). Concludendo si ottiene Dato che questo integrale deve annullarsi per qualunque funzione h,non è difficile vedere che si deve avere necessariamente ossia e quindi la nostra condizione si riduce a Risolvere questa equazione differenziale è semplicissimo: (f')' = 0 implica subito f' = C1(costante), quindi anche (f - C1 x)' = 0, quindi f - C1x = C2(altra costante) ossia Insomma, la curva più corta da Pa Q è una retta. Non è un risultato sorprendente, ma il fatto notevole è che abbiamo trovato un metodo molto efficace per calcolare minimi e massimi di funzioni molto più complicate di quelle tradizionali, funzioni di funzioni. Con lo stesso metodo (ma calcoli estremamente più complicati) si può determinare la forma della superficie minima tesa su filo di ferro (problema di Plateau), o la curva nel piano che racchiude la massima area (problema isoperimetrico), o il moto di un sistema meccanico molto complesso. Anzi, quasi tutti i problemi fisici si possono esprimere come problemi di calcolo delle variazioni per opportuni funzionali, detti lagrangiane;e in fisica teorica uno dei problemi principali è scoprire delle lagrangiane adeguate a descrivere un dato sistema di particelle. L'Analisi del'900. Nell'ultimo secolo l'Analisi si è molto evoluta rispetto agli inizi; sono nate numerose teorie fondate su idee e modi di pensare del tutto nuovi, ben diversi dal Calcolo tradizionale. Ho già citato l'idea di considerare le funzioni come punti di opportuni spazi, che è alla base dell'Analisi Funzionale; la teoria delle Equazioni Differenziali ha generato una massa imponente di nuovi concetti, spesso ai confini con la Geometria e l'Algebra; la Topologia si occupa di insiemi in cui è definito un concetto di "vicinanza" tra i punti (e nient'altro), e ne studia le proprietà; l'Analisi Nonlineare estende agli spazi di funzioni idee proprie del Calcolo tradizionale, con risultati molto generali e potenti.
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